L'incidente di Chernobyl

Storia

La centrale nucleare V.I. Lenin di Chernobyl consisteva di quattro reattori nucleari del tipo RBMK, Reattore di Alta Potenza a Canali, realizzati fra il 1970 e il 1983 e in funzione dal 1977 (il primo) e dal 1984 (il quarto e ultimo). Nel 1986 erano in costruzione altri due reattori dello stesso tipo, che avrebbero dovuto incrementare l’attività della centrale.

L’RMBK è un reattore ad acqua leggera moderato con grafite; si tratta di un tipo di reattore che era utilizzato solo nelle centrali nucleari dell’allora Unione Sovietica. La sua caratteristica principale è quella di possedere un coefficiente di vuoto positivo alle basse potenze: cioè, con l’aumentare della temperatura del refrigerante, in esso si formano delle sacche di vapore (dette appunto “vuoti”) che causano l’aumento, anziché la diminuzione, della reazione a catena: se queste aumentano in modo troppo rapido, è difficile controllarle ed eventualmente fermarle. Il controllo della potenza pertanto è elemento indispensabile per la sicurezza del reattore e questo fu uno dei fattori importanti nella vicenda dell’incidente del 1986.

Il 25 aprile 1986 – era venerdì – il reattore dell’unità quattro doveva essere fermato per un intervento di manutenzione programmata; si decise allora di approfittare di questa circostanza per eseguire un esperimento sulle parti non nucleari del reattore: si voleva verificare se, in caso di perdita di potenza, una delle due turbine poteva fornire sufficiente energia elettrica per far funzionare il circuito di emergenza e le pompe di circolazione dell’acqua di raffreddamento. L’esperimento non era nuovo, anche se fino ad allora non aveva prodotto esiti significativi e, anzi, proprio per questo motivo veniva ripetuto; ma in quella circostanza si verificò una pericolosa carenza di informazioni nel personale incaricato dell’esperimento, inconsapevole delle ricadute nucleari del proprio operato in ambito elettrico, e una tragica sottovalutazione delle procedure di sicurezza. Per quel tipo di prova il reattore – essendo stato disattivato il sistema di raffreddamento di emergenza del nucleo del reattore – doveva essere stabilizzato a una potenza di 1000 MW, ma alle 23.00 circa del 25 aprile la potenza era caduta a 30 MW e solo due ore dopo, intorno all’ 01.00 del 26 aprile, grazie a un complicato intervento manuale degli operatori che di fatto cancellò i sistemi automatici in grado di bloccare il reattore, la potenza era stabilizzata a circa 200 MW.

La drastica diminuzione dell’acqua di raffreddamento accentuò l’effetto di “coefficiente di vuoto positivo” che rese gravemente instabile il reattore, determinando un aumento repentino di potenza, fino a 100 volte la potenza teorica del reattore. Così, alle ore 01.23 del 26 aprile 1986, nel reattore numero 4 di Chernobyl si verificarono due tremende esplosioni, che distrussero il nucleo e il tetto protettivo del reattore stesso, provocando la fuoriuscita di detriti della grafite caldi, altamente radioattivi, e di una nube di fumo causata dai prodotti radioattivi della fissione.

I componenti più pesanti della nube – innalzatasi per circa 1 km nell’aria – si depositarono a terra nei dintorni della centrale, ma quelli più leggeri furono trasportati dal vento in direzione nord-ovest. Intanto gli incendi provocati dalle esplosioni avevano completamente distrutto il reattore. Complessivamente si calcola che furono immessi nell’atmosfera 100 milioni di radionuclidi (xeno, iodio, cesio 134 e 137 ecc.). Si è calcolato inoltre che la quantità di radionuclidi a lunga durata fuoriusciti a causa dell’incidente di Chernobyl fu di circa 600 volte superiore a quella prodotta dalla bomba atomica di Hiroshima.

Subito intervennero oltre 100 vigili del fuoco dalla vicina (3 km) città di Pripjat’ e alle 05.00 del mattino del 26 aprile gli incendi erano pressoché domati, ma cresceva il rogo della grafite, causa della dispersione di radionuclidi nell’aria, tanto più pericoloso e grave in quanto non si conoscevano esattamente i sistemi di intervento contro questo rischio. Solo il 9 maggio il rogo si spense e si poté iniziare la costruzione di una struttura protettiva intorno alle rovine del reattore numero 4, il cosiddetto “sarcofago”.

Il “sarcofago” è il soprannome della struttura che è stata realizzata, dopo l’incidente, attorno al reattore numero 4 di Chernobyl. Si tratta di una struttura in cemento armato, realizzata fra il maggio e il novembre del 1986, con lo scopo di ridurre le possibilità di emissione di radionuclidi. Era una soluzione provvisoria, ma di fatto è rimasta l’unica per più di vent’anni, suscitando numerosi dubbi in merito alle sue potenzialità di durata e resistenza. Attualmente si sta procedendo a costruire una struttura protettiva permanente per il reattore 4, tale da durare 100 anni, ma intoppi economici e burocratici ne rallentano la realizzazione.

Le autorità sovietiche decisero, seppur con ritardo – nella mattinata del 27 aprile – di far evacuare la città di Pripjat’ che contava 49.000 abitanti, e in seguito tutti coloro che abitavano nella cosiddetta zona “30 chilometri”, vale a dire le oltre 130.000 persone che vivevano nel raggio di 30 km attorno a Chernobyl. Intanto nessuna notizia era stata data ufficialmente dal governo sovietico in merito a quanto accaduto: l’allarme internazionale scattò soltanto il 28 aprile quando i sistemi di rilevazione di radiazioni della centrale di Formarsk in Svezia registrarono un improvviso aumento di radioattività proveniente dall’URSS. Solo a questo punto, alle 19.30 di lunedì 28 aprile 1986, l’agenzia di stampa sovietica Tass annunciò pubblicamente che si era verificata una “avaria” alla centrale nucleare di Chernobyl, precisando che non c’erano vittime e che tutto era sotto controllo. In realtà non era così: il fall-out (dispersione di particelle radioattive nell’atmosfera) proseguì fino al 10 maggio e l’azione dei venti favorì la diffusione della nube radioattiva al di fuori del territorio sovietico nei giorni successivi al 26 aprile: il 27 e il 28 aprile furono colpite la Germania, la Polonia e i Paesi Scandinavi, il 30 aprile fu raggiunta l’Italia, poi la nube si spostò verso nord-ovest.

Conseguenze sulla salute

Il numero delle vittime accertate è tra le 30 e le 65 persone, in base a stime redatte durante un incontro istituzionale – il Chernobyl Forum – promosso dall’ONU e con la partecipazione dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), gli istituti superiori di sanità di Russia, Bielorussia e Ucraina, FAO, IAEA e oltre cento esperti: alcune persone morirono subito nell’esplosione del reattore, le altre a causa dell’esposizione prolungata durante le affrettate e approssimative operazioni di spegnimento degli incendi e le operazioni di eliminazione dei detriti radioattivi.

È molto complicato fare una stima delle vittime in conseguenza della contaminazione di aria, acqua e terra nelle zone limitrofe, in quanto è necessario distinguere patologie derivanti da esposizione a sorgenti radioattive rispetto ad altre di diversa natura. Il Chernobyl Forum ha pubblicato una cifra di circa 4000 persone, da considerarsi in eccesso a causa della difficoltà di stabilire quali casi siano veramente imputabili direttamente all’evento di Chernobyl. Stime ad opera di altri enti si attestano tra le 60 000 (Partito Verde Europeo) e i 6 000 000 unità (Greenpeace), a causa della larga fetta di popolazione esposta.

Le principali patologie derivanti da questa esposizione secondaria, non direttamente durante l’incidente, sono i tumori dovuti a ingestione di cibo contaminato e tumori alla tiroide, in particolare nei bambini.

Molto gravi sono state le conseguenze a lungo termine per il territorio: il 23 per cento del territorio della Bielorussia è stato contaminato (come pure il 4,8 per cento dell’Ucraina e lo 0,5 per cento della Russia) e, a livello socio-sanitario, si è registrato un sensibile incremento di forme tumorali, specialmente nei bambini, e una rilevante diffusione di problemi psicologici: uno studio autorevole a livello internazionale ha definito “lo stress mentale causato dalla paura di possibili effetti deleteri delle radiazioni sulla salute” come la conseguenza più devastante dell’incidente di Chernobyl.